Silvia Magnani

Quel che un gatto cieco insegna

Google è un gatto comune europeo, trovato per strada con un fratello, entrambi chatons de routière, seconda la poetica espressione francese, tanto più bella del nostro “randagi”. Abbandonati dalla madre sono stati raccolti vicino a un cassonetto e salvati da una morte certa.

 

Un mondo senza luce e senza odori

Sin dai primi giorni di vita con lui mi sono accorta che la sua capacità visiva è nulla, nonostante gli occhi belli e la pupilla reattiva alla luce. Google è cieco dalla nascita, non vede nulla,  neppure il pasto che gli porgo, ed è del tutto anosmico. Per fargli aprire la bocca devo sfiorarla.

Inevitabilmente perdente nella conquista del cibo, è stato da subito bullizzato dal fratello, ingordo e goloso, che spadroneggia in cucina, svuotando le ciotole di entrambi.  Credo sia per l’inevitabile collegamento tra atto del nutrirsi e il sentirsi minacciato  che Google ha da subito manifestato problemi alimentari.

L’anoressia di questo gattino è stato uno dei problemi del suo allevamento. Trovare per le due ciotole collocazioni distanti, chiudere la porta proteggendo il territorio del più debole durante il pasto non è bastato. Google mangia solo se rimango in cucina con lui e se continuo a parlargli. Ciò che lo induce ad alimentarsi è unicamente il suono della voce umana.

 

La consolazione orale e le incompetenze masticatorie

Svezzati in modo artificiale entrambi, i due gatti si sono evoluti dal punto di vista delle abilità orali in modo del tutto diverso. Google ha succhiato la zampa anteriore destra per i primi tre anni di vita e con la sinistra, durante questa manovra autoconsolatoria, ha continuato a fare grasping, gesto geneticamente pilotato e finalizzato,  nei gattini allattati, alla spremitura della mammella della madre.

Le abilità della bocca in lui non si sono mai evolute. Google a dieci anni di vita non sa masticare. Lappa. Molto conformista nella preferenza del cibo, gradisce solo un tipo di mousse, non dimostra curiosità per nessuna novità e ha tempi di nutrizione di una lunghezza esasperante.

 

Abitare un universo sonoro

Il mondo dei suoni è il suo regno. Pauroso del contatto fisico (non vede la direzione della mano, non ne coglie l’intenzione benevola), è invece consolato dalle “coccole vocali”. Da subito ho imparato ad accarezzarlo con la voce. Alle frasi che pronuncio con prosodia spianata e fonoarticolazione morbida risponde sdraiandosi sul dorso, muovendo le zampe nell’aria ad unghie retratte e dimostrando un così intenso piacere da commuovermi.

A differenza di altri gatti trova nel proprio nome  fonte di attrazione irresistibile. Google corre da me se lo chiamo, sempre e con una allegra costanza,  la curiosità dipinta sul muso. “Dov’è la festa?” sembra dirmi.

La sua risposta è molto più vivace se semplifico il suo nome in Googhi, accentando la /i/ finale. Condizione trovata per caso nella nostra relazione ma suffragata da studi giapponesi recenti che hanno dimostrato la maggiore sensibilità dei mici al richiamo, se viene utilizzato un nome bisillabico con finale in /i/, a frequenza in ascesa.

Anche la sua costanza nella risposta al nome è eccezionale.

Mentre gli altri gatti dopo due richiami tendono a disinteressarsi e a non mantenere la relazione, Google risponde al proprio nome  sino a più di venti volte consecutive, anche se cambia stile di risposta. Dal correre, al volgere il muso, al muovere (più o meno dalla quinta ripetizione) solo la coda, con un movimento sempre uguale nella forma, che disegna una voluta nell’aria che si conclude con il ritorno  a terra.

Se a uno dei richiami sospendo la voce, come se volessi continuare a interagire vocalmente, la coda  rimane sollevata in aria, la punta eretta, in attesa del continuarsi del discorso.

 

Ambiente

Come non vedente ha mappato perfettamente la casa e la conosce in ogni dettaglio ma è terrorizzato da qualsiasi ambiente nuovo. Un tentativo di portarlo in vacanza con noi al mare lo ha visto immobile in un angolo della cucina, il muso contro il muro, per due giorni, del tutto inappetente.

La sua capacità di muoversi tra i mobili di casa decade però se la sollecitazione uditiva è troppo eccitante. Se cammino per casa parlandogli, mi corre al fianco e urta nello stipite delle porte mente io entro ed esco dalle stanze . In queste occasioni la mia voce è talmente significativa per lui da farsi  suo unico riferimento scotomizzando lo spazio.

 

Parlare con un gatto?

A differenza del fratello, Google ha sviluppato un repertorio di suoni variato e significativo. Oltre a un miagolio in /a-o/, col quale risponde al nostro “ciao”, produce miagolii diversificati in /i/ per richiamare  la nostra attenzione e in /i-o/ per esprimere un lamento. Interloquisce poi con alternanza corretta se gli si parla in momenti di vicinanza affettuosa, emettendo suoni (prevalentemente in /u-e/) alla fine di ogni nostra frase. Riusciano ad avere, in momenti di quiete, sino a 10 interazioni di botta e risposta.

Vedendo Goolge penso alle abilità orali, all’evoluzione della competenza masticatoria, alle conseguenze della bullizzazione sistematica, alla paura del non controllabile, al valore pragmatico della voce che si fa carezza.