Nella mia professione vengo a contatto con ogni tipo di persona ma quelle che più mi incuriosiscono, per la fatica relazionale che sopportano, sono i soggetti narcisisti e quelli manipolatori. La somiglianza dei tratti è evidente e desidero analizzarne alcuni.
Lasciando sullo sfondo le difficoltà infantili e la sofferenza precoce che hanno determinato una vulnerabilità al narcisismo, noto in coloro che conosco una intrinseca fragilità, che si esprime in modo palese nel ricorso ad altri per la propria definizione, vedo in loro una autostima fluttuante, pronta a vacillare in caso di disconferma. Il narcisista è dipendente dagli altri o, meglio ancora, dalla opinione che gli altri hanno di lui. Ama apparire accanto a persone influenti, esponenti del mondo politico, dello spettacolo, che utilizza come testimonial, e, in mancanza di questo, intento a lavori prestigiosi, in luoghi invidiabili, pronto a lanciarsi in avventure straordinarie.
Rinunciando ad avvalersi delle proprie doti e capacità personali, che richiederebbero l’umiltà di esporsi, ricorre all’esterno. Questo atteggiamento, che mi genera un senso di pena, è molto simile a quello del manipolatore, che utilizza, ma non per fragilità, la vicinanza con personaggi importanti per costruire, autodefinire ed esibire il proprio rango.
Narcisista e manipolatore trovano spesso un ottimo accordo. Il manipolatore loda e approva, spesso in atteggiamento adorante, il narcisista, che trova nella stima che gli viene attribuita finalmente una stabilità emotiva: mi amano, quindi valgo, si conferma. Il gioco può andare avanti anni. La soddisfazione che la relazione porta ad entrambi attiva il sistema mesolimbico dopaminergico, che mantiene condotte finalizzate alla ricompensa, creando una escalation nella ricerca di gratificazione che è simile all’addiction, e una iperreattività a eventi che predicano un insuccesso. Sono amato, sono stimato: ma amami di più, da una parte. Ci guadagno, avanzo nella scala sociale: ma non mi basta, non mi basta, dall’altra.
Chi lascia è solitamente il manipolatore. Se la vicinanza non dona lavoro, visibilità, denaro. si cerca un nuovo partner, col quale riproporre il comportamento. L’obiettivo per il manipolatore è il vantaggio personale e il benessere è nell’ottenerlo. Ben diverso il bisogno del narcisista, che consiste nella autodefinizione del Sé.
Il costo della rottura dell’alleanza presenta gravità differente. Il manipolatore dirotta i propri sforzi, con autostima intatta. Il narcisista perde autostima e senso di coerenza interna. Nessuna resilienza per lui, l’unica cosa che gli resta da fare è perseverare nella competizione per essere l’unico e l’inarrivabile protagonista della storia. Da qui l’impegno nel confermare il bias cognitivo illusorio del proprio valore, con ipervalutazione delle capacità e del successo personale, l’ostilità e l’aggressività per chi li disconferma, la perseverazione in comportamenti autopromozionali.
L’empatia emotiva manca ad entrambi, altro tratto di somiglianza. Ma mentre il narcisista è incapace di provarla, se non per chi lo esalta, e degli altri si disinteressa, il manipolatore la prova, eccome, ma solo per gli amici e i propri cari mentre la millanta per il narcisista che corteggia. Il primo è egocentrico, il secondo egoista.
Perché il narcisista non è empatico? Perché non ne ha il tempo. Occorrono occhi e orecchie per accorgersi dei sentimenti degli altri ma egli ha occhi e orecchie solo per le lodi, le approvazioni, ascolta solo ciò che lo sostiene, ciò che lo salva dalla propria fragilità intrinseca. Questo lo porta a un’attenzione selettiva (accolgo solo ciò che mi conferma) e lo allontana da tutti coloro che, volendogli bene, lo avvisano della pericolosità del suo comportamento. Il narcisista è solo, irrimediabilmente e disperatamente solo e senza amici.
Manipolatore e narcisista hanno un’altra cosa in comune: provano invidia. L’invidia è un denominatore che li unisce in nome dello scopo di ciascuno, rispettivamente guadagnare e riconoscersi come persona degna. Chi è a un gradino più alto, chi è più famoso, perfino chi fa il medesimo lavoro ed è sulla stessa scala di rango è visto come un competitor, una persona che può strappare il primato nel caso del narcisista (che desidera sempre essere il primo e l’unico) o i vantaggi faticosamente conquistati nel caso del manipolatore. Ma ecco una dicotomia tra i due comportamenti. Il manipolatore calunnia. Vedendo accanto al narcisista, fonte dei propri guadagni, possibili rivali, trova nel parlar male di loro la migliore arma di difesa. Screditare il competitor agli occhi del narcisista è una delle sue arti. Ciò lo rende insostituibile. Il manipolatore, per chi è debole e preso dal proprio egocentrismo, è l’unica fonte di verità, è l’insostituibile lente per guardare il mondo. Il narcisista dall’invidia trae solo rancore.
Il narcisista teme l’invecchiamento, la malattia. Rifiuta l’aiuto e nutre sospetto per chi glielo offre. Nel corso della vita, se ha fortuna professionale e acquista la visibilità cui anela, può passare da un comportamento inibito, schivo a uno iperesposto, spesso cambiando modo di vestirsi, di atteggiarsi, perfino di parlare. Timoroso del giudizio degli altri, sempre attento al ciò che si dice e al ciò che si fa, può diventare malevolo, aggressivo, in realtà screditandosi. Comportamenti che il manipolatore non assume perché lederebbero la propria credibilità sociale e quindi renderebbero più difficile trovare un’altra vittima e un’altra fonte di vantaggi.
Penso a Shakespeare, a Iago e a Otello e a Lear, o come direbbe Brecht “All’inadeguatezza degli umani sforzi”