La medicina praticata con competenza narrativa consiste nelle capacità di assorbire, interpretare e rispondere alle storie di malattia.
Con queste parole Rita Charon nel 2001 definisce la medicina narrativa, mettendo in evidenza le competenze richieste al terapista che vi si approccia più che le caratteristiche della sua prassi.
La medicina narrativa non si oppone alla EBM
Nata in risposta alle mancanze della medicina basata sulle sole evidenze di malattia, la medicina narrativa non si propone come stile terapeutico alternativo ma come sostegno e integrazione di essa.
L’approccio narrativo recupera la dimensione umana della patologia intesa come evento che, oltre ad affliggere il corpo del paziente, destruttura il suo rapporto con la famiglia e l’ambiente, muta la percezione corporea e ridefinisce le priorità in nome della dittatura della malattia o della cura che la contrasta.
Idea generatrice è che solo l’attenzione rivolta, oltre che ai sintomi e alle evidenze diagnostiche, alla percezione che il paziente ha della propria malattia e al significato che ad essa attribuisce può permettere quella conoscenza globale sulla quale il terapista fonda il proprio intervento, mirandolo al bene del singolo.
Praticare la medicina narrativa
La medicina narrativa non si limita a coltivare la capacità empatia e a migliorare le competenze comunicative del sanitario.
Essa promuove le competenze narrative di entrambi, forte della convinzione che
- ogni malato è un unicum
- che solo nella narrazione si ottiene una visione completa di ciò che accade
- che solo chi sa narrare sa anche accogliere una narrazione.
La medicina narrativa è interessata ai pazienti come persone e agli operatori sanitari come persone. Suo obiettivo è comprendere il significato che la malattia assume per ogni singolo paziente e per ogni singolo operatore della cura. In nome di questo obbliga alla riflessione sui bisogni, sui desideri, sui valori che sottendono scelte semantiche, scelte relazionali, scelte di vita di entrambi.
La formazione in medicina con approccio narrativo recupera la fondamentale dimensione comunicativa, relazionale, biopsicosociale della medicina.
In questa dimensione il terapista è visto come un professionista che integra in sé umanesimo e rivoluzione scientifica, tecnologia ed artigianato, clinica e creatività, nella comprensione rispettosa della complessità del paziente.
Utilità per l’operatore
Attraverso l’aumentata capacità di comprendere il vissuto dei pazienti e le proprie risposte emotive, gli operatori formati in medicina narrativa possono migliorare la resilienza all’importante mole di sofferenza che quotidianamente fronteggiano insieme ai pazienti.
Oltre a capacità narrative misurabili e trasferibili direttamente con l’insegnamento, la formazione in medicina narrativa mira ad innescare una crescita personale volta a far proprie alcune competenze non trasferibili direttamente, ad esempio:
sviluppare atteggiamenti di benevolenza verso il paziente e i suoi familiari
promuovere autoconsapevolezza, in particolare delle proprie emozioni in relazione alla malattia e alla sofferenza del paziente
confrontarsi sempre da molteplici punti di vista con un problema etico
lavorare produttivamente accogliendo il parere e i suggerimenti di più persone
Scritto in collaborazione con Maria Emilia Borsacchi