Per prima cosa vi abbraccio tutti. Anche se non è ciò che ci si aspetta da un medico, io, come voi, ho bisogno di ritrovare il contatto fisico e di esprime col corpo quella solidarietà della quale abbiamo bisogno e che le parole sono insufficienti a trasmettere.
Da un anno siamo sottoposti a un carico emotivo opprimente. La solitudine, il confino, il lavoro domiciliare, la messa in atto delle manovre prudenziali ci hanno sfibrato. Mi avete vista mascherata e protetta, vi ho obbligato a compilare questionari, vi ho provato la febbre. La tranquilla e domestica accoglienza del mio studio ha perso la sua trasparenza sotto il peso della prevenzione e del timore del contagio. Siamo esausti.
Eppure è proprio adesso che dobbiamo tenere duro, resistere. Se è stato stoico rimanere a casa nei primi mesi dell’anno passato, se è stato sopportabile il distanziamento nelle prime settimane, ora nessuno ha più voglia di retorica, di medici eroi, di paragoni guerreschi. Tutto ci infastidisce e il quotidiano pesa su noi come una nuvola temporalesca.
Sono questi i momenti più pericolosi. Come un malato che appena scesa la febbre desidera andare per strada a passeggiare, sentendosi ormai guarito, come chi, a pochi metri dalla vetta si sente già in cima, siamo fragili, stanchi. La meta vicina ci rende imprudenti.
E’ su questo che voglio soffermarmi. l’uscita dal tunnel è prossima, ma ancora non raggiunta.
Bombardati dalle notizie che fanno più audience, dagli articoli dai titoli catastrofisti perché vendono di più, dagli esperti che vietano le spiagge, negano l’estate, profetizzano recrudescenze della malattia (poveri esperti, resi sibille cumane dal travisamento delle loro esternazioni), non siamo capaci di scindere il buono dal pretenzioso.
Riflettiamoci insieme. Il 64 % di infezioni in meno nel personale sanitario (dati raccolti non al termine del percorso vaccinale e quindi ancora più confortanti) è una notizia importante, sottovalutata dai giornali, perché poco vendibile. La presenza sul territorio nazionale di presidi preposti alla vaccinazione, ormai ubiquitari, è un’altra buona notizia. L’intasamento dei centralini, dovuto alle richieste di essere inseriti nelle liste vaccinali, non è segno di un sistema di prenotazione fallimentare ma della coscienza collettiva che ha compreso l’importanza della immunizzazione e che preme per ottenerla.
Io sono tra i fortunati che hanno ricevuto le due dosi di vaccino ma è probabile che ancora voi non siate del gruppo. E’ questo il vero momento della resistenza, quello in cui la temperanza e la determinazione ci portano tutti, vaccinati e non ancora, al porto dopo la navigazione tempestosa.
Ora, che a ciascuno. anche a me, verrebbe voglia di calare la mascherina, ora che un bar ci sembra un’isola felice dove incontrare qualcuno faccia a faccia, ora che un pranzo al ristorante ci pare una delizia, dobbiamo, dobbiamo, dobbiamo continuare a proteggerci. Due metri in ambienti chiusi non bastano. Entriamo il meno possibile in luoghi dove ci siano altre persone. Se lo dobbiamo fare, calziamo la mascherina in modo perfetto. Continuiamo a lavarci le mani, a lavare le superfici di casa. Sottoponiamoci insieme a questo tormento del non toccarci, del non avvicinarci. Perché, mi chiederete, se le infezioni sono stabili o in minima discesa?
Perché non conosciamo quali varianti del virus potrebbero generarsi e quanto siano davvero pericolose quelle presenti e perché il numero di varianti è proporzionale al numero di infezioni contratte. Quanto più infetta gente, tanto più il Covid ha la opportunità di sviluppare figli aggressivi, adattandosi all’organismo ospitante.
Dobbiamo ridurre al massimo le infezioni perché i vaccini in uso funzionino, altrimenti la fatica vaccinale è inutile, la ricerca vana e chi è vaccinato non protetto. E’ nostra responsabilità non diffondere il virus proprio ora che la vaccinazione è disponibile. Vi chiedo quindi aiuto, per il bene di tutti noi, oltre i ruoli che ricopriamo, per tornare alla vita normale.