Silvia Magnani

Cura sostantivo femminile singolare

da | 20 Febbraio 2017 | Articoli, Medical humanities

Se andiamo con la memoria a quelle prime conoscenze teologiche che ci venivano impartite nelle ore di catechismo dell’infanzia, subito ci ricordiamo la definizione di Dio come Essere Perfettissimo Creatore del cielo e della terra .

Questa definizione, che semplificava nella nostra mente la ricerca di un da chi e un da dove, lasciava però in noi la domanda più scottante: perché? Alla risposta ogni adulto si sottraeva con una seconda  definizione del divino: Dio è Amore, assicurandoci così che in ogni caso, in quanto creature, nostro destino sarebbe stato essere amati, capissimo o meno perché eravamo stati messi nel mondo.

 

Il prendersi cura come compito del genitore

Questo altissimo valore dato al prendersi cura  è già presente nei Greci e nei Romani e appare come una radice culturale di tutta la civiltà mediterranea e forse dell’uomo stesso. Un Dio Amore che si occupa di ogni creatura raffigura simbolicamente il desiderio radicale di essere amati dal proprio genitore e per questo giustificati ad esistere.

Le cure prestate al neonato dalla nascita, l’essere accolto nel mondo attraverso il contatto fisico, il calore, il suono, sono le basi sulle quali si fonda quel diritto alla vita che ciascuno di noi, sin dall’alba della propria coscienza, si è attribuito. Sono amato, quindi ho posto del mondo.

Ecco che un Dio Creatore e Perfettissimo diviene affidabile non perché crea ma perché ama, proponendo all’uomo la relazione archetipica  genitoriale che si esprime nell’accudimento.

 

La cura alla base della relazione

La necessità di essere amati, accolti e  accettati è talmente radicata nel nostro animo che diviene il motore della nostra stessa esistenza. Segno della incompletezza statutaria della nostra natura che, per trovare un senso, deve essere riconosciuta come oggetto d’amore da un altro essere.

Per questo la cura dell’altro è il principale risultato della relazione umana. Nella consapevolezza della sua fragilità ognuno di noi fa nascere, rinascere, nutre la vita che gli si affida.

Non solo il legame genitoriale è prototipo di questa relazione primordiale che per secoli l’umanità ha immaginato col divino, ma anche lo sono la relazione clinica e quella didattica, nei loro connotati di presa in carico dell’altro nella sua unità di mente e corpo.

Come cardini del rapporto col paziente e con l’allievo si pongono il riconoscimento del bisogno e il dovere del suo soddisfacimento che, uniti,  altro non sono che la Cura, nel senso più vero del termine.

 

Il femminile e la cura

Richiesta di salute, richiesta di apprendimento si giocano sullo stesso piano della necessità archetipica di essere riconosciuti come esseri umani degni di ciò che chiediamo proprio perché  necessitanti.

Per questo quando penso al divino amorevole penso al femminile e al materno che in esso ha radici e che nell’atto generante si vincola per sempre alla propria creatura.

C’è al fondo di ogni relazione di cura una istanza femminile che si fa avanti.

a mia madre e ai miei figli