Mi fermo a ragionare su un argomento che attira tante fake news e genera incertezze. Parto da lontano.
Due sono le esigenze intrinseche all’umano che sono negate da una epidemia: la socialità e l’istruzione in ambiente condiviso. La necessità di ripristinare al più presto le condizioni che le permettano è ancora più pressante del risanamento dell’economia. L’uomo infatti prima scopre il sociale poi nel sociale sviluppa il rapporto economico. Senza scambi, incontri, condivisione e progetti comuni non vi sarebbe il mercato, non sarebbe stato inventato il denaro, non vi sarebbe il risparmio. Parallelamente l’istruzione è primaria rispetto al mercato. Senza formazione socializzata della nuova generazione il mercato sarebbe un’arena di guerra, una terra di nessuno nella quale il puro vantaggio soggettivo impererebbe.
Dobbiamo salvare la scuola. Non solo per questa ragione, ingenuamente filosofica, ma per altre e più importanti ragioni. Che la nostra condizione sia o non sia quella di genitori, chi governerà in futuro la cosa pubblica, chi ci curerà, ci assisterà, provvederà al benessere della collettività deve essere istruito e istruito in una condizione comunitaria che permetta lo scambio, il confronto e lo sviluppo della individualità nel rispetto del territorio dell’altro.
Se non bastasse questa ragione, che ci proietta come un razzo verso il futuro, perfino quello che non abiteremo, un futuro che è quello dei nostri figli, depositari del nostro corredo genetico, della istruzione a loro impartita, nonché garanti della realizzazione dei nostri ideali, esiste una ragione, anzi due ragioni, perché tutto si debba fare per mandare i ragazzi in classe.
La prima: molti bambini e giovani trovano nella mensa scolastica se non il solo pranzo della giornata il più nutriente. La seconda: i bambini con disagio, penso all’autismo, al ritardo cognitivo, al disturbo dell’attenzione e dell’apprendimento, hanno bisogno, come gli altri di cibo, della compagnia dei coetanei. Chiuderli in DAD è far loro sopportare un livello di sofferenza ulteriore a quella che già li opprime.
Vengo ora al Green Pass, considerandolo per quello che è, un binario a doppio senso. In senso sociale è la garanzia per chi si trova in comunità (da un locale pubblico a un teatro) di avere a fianco persone vaccinate, quindi in alta percentuale immuni da infezione. Dall’altro è la richiesta, per chi vuol partecipare al sociale, di munirsi di quelle difese elementari che abbassano per lui, e sottolineo questo vantaggio personale, il rischio di ammalarsi.
Vediamo ora le contestazioni, sperando di considerarle tutte
La prima contestazione riguarda l’essere sperimentale del vaccino. Vero, il vaccino è stato realizzato in tempi rapidi, ma io di questo sono felice. Non voglio neanche pensare a come staremmo ora se ancora dovessimo aspettare un anno a essere vaccinati. Se fosse stato realizzato solo alcuni mesi prima di quanto è stato fatto, il mio amico Giorgio, medico come me, non sarebbe morto, si sarebbe immunizzato. La rapidità della messa a disposizione del vaccino è frutto dell’essere questa una “pandemia”, cioè qualcosa che riguarda tutti e contro la quale tutti hanno lottato concentrando gli sforzi nel più breve tempo possibile.
Un’ altra preoccupazione è relativa ai rischi futuri del vaccino, cosa accadrà tra 10 anni a chi vi si è sottoposto?. Francamente non lo so, ma so cosa accade a coloro che il Covid lo hanno fatto: debolezza permanente, danni neurologici, stati depressivi, difficoltà di concentrazione e, per chi è stato in intensiva, atrofia muscolare, anchilosi delle articolazioni. E senza aspettare 10 anni.
Terzo appunto che si fa al vaccino è la sua “inutilità”. Basta leggere le notizie di questi giorni per capire che si tratta di una fake. Chi viene ricoverato ora nella stragrande maggioranza dei casi è non vaccinato o vaccinato con una sola dose. E’ di oggi la notizia data dall’Istituto Superiore di Sanità che il 99% dei morti da febbraio a ieri si trovava in queste condizioni. Quindi chi si sta ammalando? I vaccinati o i non vaccinati? Un vaccino che abbatte il rischio di ammalarsi è davvero inefficace? Vediamo i dati, andando a consultare l’informativa pubblicata 24 ore fa ISS: Analisi sui decessi – 27 07 21
Quarta preoccupazione riguarda la vaccinazione ai maggiori di 12 anni. Qui la spiegazione è più complessa. Un virus ad alta diffusione tende a dare varianti. La variante è una incognita: può essere più infettiva (di solito lo è, il virus fa il tifo per se stesso) e più o meno pericolosa. Non si sa. L’unico modo per evitarlo (e con questo evitare che lo sforzo vaccinale diventi inutile (avere vaccini che non la coprono vuol dire ricominciare tutto da capo) è limitare al virus la possibilità di adattarsi, quindi ridurre il popolo dei soggetti a rischio infettivo. Se si hanno timori sulle conseguenze della vaccinazione in età pediatrica e giovanile si può leggere questo articolo, pubblicato su uno dei più importanti siti del mondo Children and COVID-19 Vaccines
Ora vengo alle mie preoccupazioni
Premetto che ritengo il Green Pass una delle poche soluzioni per dare a tutti noi una vita “quasi” normale e lo considero un antidoto alle modalità medioevali di difesa dalle epidemie, intendo: erigere mura, ritirarsi in campagna, impedire gli spostamenti, varianti eterne del lokdown.
La prima paura è che senza una responsabilizzazione di tutti non si esca da una pandemia in tempi brevi e la sofferenza mentale da isolamento non è stata solo mia (a mio modo per un anno confinata nel mio ruolo di medico e di madre, priva di socialità, di amici, di incontri).
Seconda paura è che, in situazione sociale, la presenza fortuita di un malato mi obblighi a una quarantena che mi impedisca di lavorare, cioè di mantenermi, come è stato nei mesi di chiusura forzata del mio studio nel 2020. Tutti aborriamo un’astensione forzata dall’attività produttiva, ora che sta riprendendo.
A proposito di questi miei timori vale la pena leggere The Impact of Quarantine and Physical Distancing Following COVID-19 on Mental Health: Study Protocol of a Multicentric Italian Population Trial
Terza paura è che nessuno sa con certezza quanto dura la copertura vaccinale, lo si vedrà dal numero di malati e di morti nei prossimi mesi tra chi ha concluso a gennaio/febbraio il ciclo vaccinale. Sei mesi? Allora non sono più coperta. Nove mesi? Allora me la cavo sino a fine ottobre. Non è poco? Non è meglio, invece che andare per tentativi e statistiche fare finire tutto appena possibile?
Concludo con una raccomandazione
Tutti noi che siamo vaccinati siamo a rischio non solo di riammalarci (i vaccini non coprono al 100%) ma di essere portatori di infezione per altri.
Riprendendo le raccomandazioni di Fauci (uomo intelligente che non teme di contraddirsi raccomandando una cosa e poi negandola e raccomandandone un’altra, semplicemente perché attento agli eventi), ripeto alla nausea questo: continuiamo a mettere le mascherine in ambiente pubblico, dal tram al teatro, alla strada affollata, all’aperto e al chiuso. Le barriere fisiche servono, straservono, perché sono filtranti. Mettiamo le Ffp2, le chirurgiche scivolano, non aderiscono agli zigomi e alle guance. facciamole mettere anche ai bambini.