“Combattere contro il male”, “perdere la battaglia contro il tumore”, “lottare tra la vita e la morte” ne sono esempi.
C’è in queste espressioni una falsificazione di fondo che mi irrita profondamente.
Non esiste guerra contro la malattia. Non si combatte in campo ad armi pari con una neoplasia, una grave insufficienza cardiaca, una malattia neurologica degenerativa.
Le malattie gravi , quelle potenzialmente mortali, sono più forti del nostro povero corpo. Il malato, oppresso dal male, non lotta. Anzi è passivizzato tre volte: dal male che lo possiede, dalla farmacologia che, nel tentavo di togliere il male, ne procura altro, spesso altrettanto doloroso, dalla società che lo ghettizza, perché il male dell’altro può essere il nostro, e ciò scatena l’angoscia.
Con la malattia si viene a patti, non si lotta! Ci si siede al tavolo del compromesso.
Si accetta un armistizio, quello dato dalla chemioterapia.
Si spera in una ritirata dall’assedio.
Lotta c’è, ma con la nostra paura della morte, che sia la nostra o quella degli altri e che li si ami o no. Lì è la vera battaglia. Noi lottiamo con il terrore, quello che ci assale quando pensiamo che dietro a quel nodulo, a quella macchia, a quella tosse forse è nascosta la fine.
La vera battaglia è sempre e solo con noi stessi.
Non sopporto più questo linguaggio melenso e falso, questa retorica guerresca che travisa la verità.