E’ possibile che un giovane uomo, che presenti una muta paradossa e sia amante del canto, ricerchi nel falsetto una modalità espressiva più consona alla qualità della propria voce parlata.
Due riflessioni aiutano a valutare una tale scelta.
1. La muta paradossa, o meglio questa sua forma, chiamata “muta adattiva“, è caratterizzata nell’uomo da una fonazione parlata a frequenza fondamentale più acuta di quanto atteso. Di solito resa possibile da un innalzamento della laringe, essa si accompagna a una riduzione delle capacità di amplificazione vocal tract (che risulta accorciato) e a una stabilizzazione eccessiva della mandibola al basicranio, che porta con sé scarso utilizzo del tratto orale delle cavità di risonanza, frequenti imprecisioni fonoarticolatorie e ottundimento (per riduzione dei diametri).
2. Il muscolo tiroaritenoideo viene passivamente allungato dalla anomala postura laringea (le commessure anteriore e posteriore infatti si allontanano nel sollevamento laringeo) e subisce uno stress che può portare a fonastenia.
Fonare a frequenza alterata in voce parlata rappresenta quindi un fattore di rischio per il sistema muscolare adduttorio e un depotenziamento delle possibilità risonanziali.
Non esiste indicazione a non aiutare il paziente a raggiungere una fonazione parlata a basso costo funzionale. Neppure la paura di perdere in voce cantata un falsetto piacevole può giustificare un’attesa, perché l’esito fonastenico non tarda a presentarsi e un compenso in ipertono del tratto sovraglottico è comune.
Il falsetto è frutto di studio oltre che di abilità personale e si ottiene coltivando nel parlato una modalità fisiologica di fonazione.