La mamma mi guarda e mi dice “sono certa che non lo farà”. Ho appena detto a una bimba di sei anni che dovrà impegnarsi anche a casa con gli esercizi per riuscire a pronunciare correttamente alcune consonanti. Niente di grave, un rotacismo e un sigmatismo in una piccolina abituata a interporre la lingua tra le arcate dentarie. Ovvio che la mezz’ora di terapia logopedica settimanale non basta.
Questa frase materna, accompagnata da un rivolgere gli occhi al cielo, è la classica profezia che si avvera. Un dire del futuro come già certo.
La mamma, che forse così ricerca la mia comprensione, esprimendosi in questo modo di fronte alla bimba legittima in anticipo il suo comportamento, andando a giustificare, perché attesa e quindi ovvia, la sua mancanza di collaborazione.
Atteggiamenti genitoriali di questo tipo deresponsabilizzano i bambini, li mettono in un limbo (dove abitano quelli che non faranno, perché si sa, loro non fanno) del quale essi stessi si troveranno un giorno prigionieri.
Investire sui bambini
Se un piccolo ha davanti un genitore che non investe su di lui, un genitore che per primo non crede nella sua affidabilità a reggere un compito, come può trovare in sé la forza per emergere da una stilizzazione? Lui sarà sempre “il capriccioso”, “il pigro”, “lo svogliato”. Vittima di un etichettamento, camuffato da amore, che lo precederà ad ogni incontro.
La rinuncia educativa
Sotto ad atteggiamenti del genere, che tanto spesso vedo nelle madri e nei padri, non solo c’è una mancanza di stima nelle possibilità del bambino e una piatta tolleranza delle sue inadempienze, ma è nascosto, ed è più grave, un atteggiamento di rinuncia, una deresponsabilizzazione educativa
Se so già che non farà, non provo. Se so che si opporrà, non propongo.
E’ il venir meno a un obbligo educativo, anzi la prova che dell’inosservanza di quell’obbligo i primi a essersi giustificati sono gli stessi genitori.
I bambini crescono così fragili dentro, incapaci di assumersi doveri, piccoli despoti domestici e fantocci di sabbia nel sociale.