Quando cambiavo il pannolino ai miei figli neonati, nella condizione migliore per l’osservazione reciproca del viso, come tutte le mamme facevo loro lunghi discorsi: paroline, frasi, vocalizzazioni fantasiose ritmate o melodiche.
Oltre a questo però, guardandoli, aprivo e chiudevo la bocca, tiravo fuori la lingua, schioccavo le labbra. In parte perché questa sperimentazione dell’oralità divertiva moltissimo me ma, soprattutto, perché loro, anche nei primi giorni di vita, a questo erano già in grado di rispondere.
Nasceva così tra noi un gioco di imitazione reciproca nel quale i bimbi sembravano guardarmi a ogni proposta con rinnovato interesse per poi riprodurre, quasi istantaneamente, il mio gesto. A mia volta raccoglievo la loro risposta, imitandola o variandola, facendo nascere tra noi un dialogo a base di aperture e chiusure delle labbra e protrusioni della lingua a gradi diversi di apertura della bocca.
L’inibizione mancata del neurone specchio
Ora so, ma allora, negli anni 80, non potevo neppure immaginarmelo, che questo accade perché il neonato è già in possesso di un sistema primitivo di neuroni specchio ma non ancora di un sistema di controllo su di essi.
Un neonato tende cioè ad attivarsi in modo incoercibile per la ripetizione del movimento che vede agire, con una spiccata predilezione per i movimenti orali, così come avviene ad alcuni pazienti con danni frontali che tendono a mettere in atto comportamenti imitativi involontari.
In tali pazienti le afferenze alle aree mesiali a valore inibitorio sono danneggiate e quindi poco funzionanti, così come poco funzionanti esse sono nel neonato per la immaturità della mielizzazione delle fibre.
Lo svezzamento “frontale”
Non sono riuscita ad allattare nessuno dei miei tre bambini ma ho cercato per tutta la loro primissima infanzia di stimolare la percezione orale, la mobilità linguale e quella di tutto il distretto facciale.
Spingevo la loro lingua nella cavità della bocca sfiorandone l’apice, quando questa protrudeva, sfioravo le labbra perché si contraessero, proponevo il mio dito per il succhiamento, lo muovevo delicatamente sul corpo linguale.
Mi ero accorta che l’alimentazione per biberon (non erano state ancora inventate le tettarelle “mamma”) era più rapida, meno faticosa e quindi in un certo senso meno gratificante come piacere orale. Volevo insomma risarcirli!
Durante lo svezzamento, come ogni altra madre, ero principalmente preoccupata che sperimentassero non solo i nuovi sapori ma anche le nuove consistenze. Il metodo che utilizzavo per aiutarli nell’accettazione del cucchiaino era il più semplice, anch’esso, mi rendo conto, giocato sulla presenza dei neuroni specchio.
Sistemavo il bambino sul seggiolino sul tavolo della cucina, mettendomi ben in vista davanti a lui. Tenevo in mostra il cucchiaino e il piatto dal quale prendevo la pappa e, attenta a che il cucchiaio non lo spaventasse presentandosi inaspettato alla bocca, facevo in modo che il bimbo mi guardasse in viso.
Proponendo il cibo, aprivo la bocca, così che mi imitasse, richiudendola poi, una volta depositata la pappa sul dorso della lingua. La voce mi aiutava a tenere l’attenzione del piccolo su di me.
Il suono che usciva dal mio gesto era AM: massima apertura nella vocale, chiusura con contatto bilabiale nella consonante.
Concludevo con un sorriso rassicurante, a labbra a contatto saldo ma non serrato, che nelle mie intenzioni significava “fidati!” ma che sortiva l’effetto di evitare la protrusione linguale abituale nella mungitura della tettarella.
Non avevo naturalmente inventato nulla, avevo fatto mio un gesto modellante di invito all’alimentazione che esiste da millenni. Non ero molto diversa da una mamma delle caverne.
Eppure questo gesto, proposto come modello, era più potente, nello spingere il bimbo ad alimentarsi, del sapore stesso dei cibi, tanto che Francesco, a quattro mesi, prima di sputare disgustato la polpa di pera in cui invece dello zucchero avevo messo il sale, se ne è inghiottito alcuni bocconi. Sulla fiducia o per attività del sistema specchio, non so.
L’attenzione sul viso materno
Ho compreso in quegli anni che il focus attenzionale del bimbo che stiamo svezzando non deve essere indirizzato sul cibo, che è ancora sconosciuto e quindi temibile, ma sul viso materno.
Esso non solo modella l’insolito movimento della deglutizione a pressione positiva (aprire la bocca tenendo dentro la lingua) ma rassicura sulla affidabilità della nuova esperienza.
In fondo nutrire è un atto relazionale nel quale come sempre la madre si pone come mediatrice col mondo
Il co-eating
Queste esperienze dovute esclusivamente alla maternità, i miei figli mi hanno praticamente insegnato tutto, mi spingono ad invitare i genitori e i logopedisti alla pratica del co-eating.
Mangiare insieme, negli stessi orari e, se possibile, le stesse cose è importante appena il bimbo esce dal periodo dello svezzamento.
Solo la contemporanea presenza dell’adulto modellante può aiutarlo nella pratica di una alimentazione non solo adeguata in senso calorico ma variata, complessa e attivante perciò abilità orali sempre più evolute.
Il più piccolo della famiglia è stato sempre sistemato sulla panca della nostra cucina, affinché non rotolasse dalla sedia, alla mia sinistra. Questo mi permetteva di compiere col dorso una rotazione verso di lui così da ottenere una visione quasi frontale e di controllare con la mia mano destra l’andamento delle operazioni, imboccandolo a volte, aiutandolo a infilzare, guidandolo nella prensione.
A parte le valenze comunicative dell’atto di mangiare insieme, il cibo condiviso permette infatti il modellamento delle azioni compiute dalla bocca e dalla mano.
Masticare con cura da parte del genitore spinge alla imitazione della modalità di triturazione, mostrarsi con lingua posizionata all’interno della bocca e non protrusa mentre si introduce il boccone modella il prerequisito essenziale della preparazione del bolo.
Per questa ragione sono da sconsigliare pratiche che rallentano le acquisizioni orali. Esse sono spesso messe in atto per l’ansia generata dalla inappetenza ma divengono in poco tempo vere manovre di ricatto esercitate dai bimbi sui genitori.
Elenchiamole. Pasti interminabili con bimbi erranti per le stanze, inseguiti o meno dalla mamma con il piatto in mano. Pasti solitari davanti a distrattori (“purché mangi!”) come la televisione o il tablet. Cibi differenziati (e facilitati) con anticipazione della cena per i più piccoli. Ricorso a latte e biscotti in biberon………
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