Per non passare per la solita “che sa e spiega”, voglio raccontare la mia esperienza col ciuccio e ciò che ne penso.
Premetto che la stimolazione orale in TIN è fondamentale, come lo è per i primi mesi di vita. Non solo aiuta nel prematuro e nel sottopeso a mantenere la capacità di succhiare, presente alla nascita ma che può decadere, ma è, per i bimbi almeno sino ai 12 mesi (età alla quale partono alla scoperta del mondo sui loro piedini), una modalità di darsi piacere (e ci par poco?!), di autoconsolarsi e di rispondere alla necessità impellente e fisiologica di esercitare la bocca ad esplorare, riconoscere e analizzare in senso stereognosico.
Bene, detto questo, arrivo a me nonna, per liberare dai sensi di colpa le mamme che al ciuccio ricorrono oltre i 12 mesi.
Il piccolo di casa è stato un succhiatore professionista ma a 10 mesi ha avuto una brutta virosi, accompagnata da afte dolorosissime.
Ha subito odiato il ciuccio, collegandolo al dolore che provava ogni volta che cercava di utilizzarlo, e ha, ugualmente ma per altre ragioni, detestato da allora il budino alla vaniglia (col quale nel periodo cercavamo di rinfrescagli la bocca e di nutrirlo almeno un po’).
Eccomi perduta! La merenda che ero solita dargli lo disgustava. Non solo, il ciuccio, che sapeva calmarlo quando piangeva per una caduta, un dispiacere qualsiasi, era da buttare. Anzi, lo buttava lui, con lanci sino a 4 metri, se tentavamo di proporglielo.
E’ così che ho capito che il ciuccio serviva a me.
Quando non riuscivo a consolarlo.
Quando il suo pianto disperato mi stracciava il cuore e le orecchie e volevo solo zittirlo.
Quando, al pomeriggio, non c’era modo di fargli fare la nanna.
Il “consolatore”, il “silenziatore” non c’era più. Ero senza armi, confusa e stordita e alla disperata ricerca di consolazioni alternative.
Ecco perché capisco le mamme che non riescono a toglierlo
Le capisco, eccome, perché il ciuccio serve anche alle mamme, a volte più che ai bimbi.
Quindi, diamo una mano alle mamme invece di rimproverarle.