A tutti è capitato di soffrire per una laringite e di vedersi prescrivere un cortisonico, qualche volta anche per via orale. Il fatto che i farmaci sintetici ricalchino la struttura di una molecola secreta anche dal nostro corpo non deve farci cadere nell’inganno che una sostanza “naturale” non possa fare male.
Il cortisone è un farmaco straordinario, addirittura un salvavita: ci sostiene nel contenimento delle reazioni infiammatorie, riduce lo stravaso di liquidi dai capillari, stabilizza lo spazio intercellulare. Per questo la sua primaria prescrizione sono l’asma acuta, le reazioni allergiche, l’orticaria e l’edema della glottide.
Perché è prescritto nella laringite?
La prescrizione di un cortisonico per una laringite acuta, nonostante non si tratti di una patologia così grave, è spesso dovuta alla scarsa risposta laringea agli antiinfiammatori non steroidei, alla necessità di far recuperare presto la voce a un professionista vocale o, nel bambino, alla tendenza della laringe infantile a gonfiarsi troppo se infiammata, provocando così importanti problemi respiratori.
La posologia indicata è sempre limitata nel tempo e con una dose scalare (cioè a ridurre sino a interrompere il trattamento), per non provocare una reazione ipersecretiva da parte della ghiandola che ne è produttrice nel nostro corpo.
La prescrizione nella cronicità
In foniatria la prescrizione cronica è praticamente assente. Le patologie che ne richiedono un’assunzione quotidiana sono le forme autoimmuni (che producono infiammazione permanente), alcune malattie neurologiche, le patologie ortopediche e dermatologiche resistenti ad altri farmaci.
I pazienti che assumono cortisonici per lungo periodo vanno incontro a importanti effetti collaterali. Per questo si cerca con loro di trovare la “dose minima efficace”, cioè il quantitativo di farmaco che riduce i sintomi con un costo per il corpo sostenibile. Il cortisone infatti riduce la resistenza dei tessuti.
Se applicato in crema rende la pelle sottile e fragile, se assunto cronicamente per aerosol produce atrofia delle mucosa delle prime vie aeree e riduzione del tono del muscolo vocale. Se assunto per via sistemica può dare osteoporosi e, per periodi molto protratti nel tempo induce la ghiandola che ne è produttrice a ridurre la propria funzione, contemporaneamente provocando gli effetti di una sovrastimolazione ormonale che può portare a modificazioni coushingoidi del corpo (obesità, gibbo dorsale).
Il rischio nell’assunzione
Ma il cortisone ha un più importante effetto collaterale, presente anche se assunto per brevi periodi: riduce le difese immunitarie, cioè ci rende più aggredibili dagli agenti patogeni.
Se questo è sostenibile in caso di infezione acuta batterica (in una tonsillite impegnativa l’antibioticoterapia associata è sufficiente a contenere l’aggressività nei microbi), l’uso di un cortisonico è da evitarsi se l’agente infettante è un fungo o un virus, per i quali abbiamo mezzi di controllo minori.
E’ questa la ragione per la quale non è possibile autoprescriversi il farmaco sulla scia di una prescrizione ricevuta per un episodio analogo, anche se i sintomi sono i medesimi. Solo il medico può decidere se accettare il rischio di un aggravamento dell’infezione in una forma di laringite che è quasi sempre di origine virale.
Il cortisone e lo stress
Un effetto non secondario del cortisone che produciamo ogni giorno è il sostenerci nelle reazioni allo stress. Il cortisone è, l’espressione è mia, un “ormone dell’urgenza”, capace come è di aumentare l’attivazione di coscienza e la reattività agli stimoli (arousal), la forza muscolare, la resistenza alla fatica.
E’ qui che desidero arrivare. Il cortisone, anche assunto per pochi giorni, è un dopante. Mi spiego meglio: anche se sei malato, ti fa sentire meglio, ti permette di superare una prova vocale non accorgendoti dello sforzo che fai (con i danni organici che ne possono derivare), ti spinge a condotte imprudenti e pericolose per la tua laringe.
Ricordati che il riposo è la cura migliore e se ti viene prescritto un cortisonico sopporta gli effetti collaterali, non solo l’insonnia e la cefalea o il mal di stomaco, ma anche quel sentirti un leone che non ti fa valutare correttamente la gravità del tuo stato.