Esiste una sostanziale differenza tra destabilizzazione mandibolare e protrusione. Essa non è abbastanza sottolineata dalla terminologia e merita qualche riflessione.
La situazione della mandibola
Rispetto al cranio, cioè a quel compatto sistema di ossa che, saldamente unite, vanno a racchiudere e a proteggere l’encefalo, contengono i seni paranasali e danno spazio alle cavità orbitarie e alle cavità nasali, la mandibola è un osso indipendente, unito ad esso soltanto dall’articolazione temporo-mandibolare e dal sistema legamentoso e muscolare che a questa fa riferimento.
Il grado di mobilità della mandibola rispetto al cranio (in assenza di patologia osteoarticolare) è secondario al livello di coinvolgimento della parte muscolare di questo sistema. Attivata massimamente nella masticazione e nella deglutizione, essa non decade mai completamente di tono durante la veglia, permettendoci di passare gran parte della giornata a bocca chiusa, a meno che un’ostruzione nasale, come avviene per una rinite, non ci obblighi al contrario.
Senza una minima attività di questi muscoli la nostra mandibola subirebbe l’azione delle forze endorali (come accade quando il peso della lingua grava sul pavimento della bocca) o della forza di gravità (come quando ci addormentiamo in treno semiseduti).
Possiamo, molto grossolanamente, paragonare la bocca con la mandibola a una torre col suo ponte levatoio. Esso rimane verticale quando la muscolatura masticatoria è bene attivata, si abbassa quando essa si rilassa. Per questa ragione ho proposto in didattica di chiamare l’insieme dei muscoli che provvedono a mantenere “sollevato il ponte levatoio”, garantendo la stabilizzazione della mandibola al basicranio, leve mandibolari. La loro funzione le rende infatti paragonabili a un sistema a leva che trova fulcro proprio nella articolazione temporo-mandibolare e nelle zone limitrofe. I muscoli rappresentativi del sistema sono il m. Temporale e il Massetere e la maggior parte dei fasci muscolari degli Pterigoidei.
Perché si parla di stabilizzazione nel caso della mandibola
Stabilizzare è un termine che porta con sé un valore positivo. Si “stabilizza” un umore o una situazione economica, garantendo così continuità di funzione ed evitando di incorrere in situazioni estreme.
Stabilizzare correttamente vuole dire in foniatria far sì che una parte mobile si relazioni nel modo più opportuno con un punto saldo. Questo porta con sé una evidente vantaggio funzionale. Se, per esempio, estendendo la testa la mandibola non rinforzasse la propria stabilizzazione al basicranio, la bocca si aprirebbe. Se portando il cucchiaio alle labbra non si destabilizzasse, non sarebbe possibile accogliere il cibo. Se nella masticazione non si realizzasse un grado di stabilizzazione tale che permetta, nella vicinanza delle arcate dentarie, di preparare il bolo triturandolo con i molari, non si potrebbe deglutire senza rischi.
In condizioni fisiologiche la mandibola varia il proprio livello di stabilizzazione, potendo trovarsi in situazioni di veglia tranquilla in uno stato di stabilizzazione che potremmo chiamare ordinaria (mantenimento della bocca in situazione di chiusura con arcate dentarie prossime ma non serrate), in uno di maggior attivazione, come appunto nella estensione del capo, sino a presentare la massima attivazione quando occorre spingere il boccone in esofago, fatto reso possibile solo da una energica contrazione delle leve e da un contatto tra i denti estremamente saldo.
Stabilizzazione mandibolare serrata e coinvolgimento di altri distretti
La deglutizione del bolo e l’esercizio di attività fisiche in cui il tronco debba svolgere la funzione di fulcro della forza è un esempio interessante di come condizioni di massima stabilizzazione mandibolare coinvolgano più distretti corporei, suggerendo che una vocalizzazione che si accompagni a gradi di stabilizzazione eccessiva (come può aversi nei compensi spontanei di paralisi cordale, in alcune forme funzionali o nelle forme psicogene) sia ad alto costo.
Se deglutendo si pone l’indice sulla articolazione temporo-mandibolare, in prossimità dell’orecchio, e il pollice sotto il mento in prossimità del pavimento della bocca ci si accorge che non solo le leve mandibolari, al passare del bolo, vengono fortemente contratte ma con esse si attiva anche il pavimento della bocca. Ciò è dovuto al complesso meccanismo deglutitorio. Esso associa all’innalzamento linguale, accompagnato dalla contrattura delle leve, responsabile della propulsione, il sollevamento e l’avanzamento della laringe ad opera della contrattura dei muscoli sovraioidei, al fine di togliere l’organo dal percorso del bolo stesso, evitando che esso prenda la strada delle vie respiratorie. Tale contrattura risulta già presente dal momento in cui la lingua esercita pressione sul palato duro e spiega come possa risultare inutilmente faticosa una postura alta fonatoria del dorso linguale.
Se si solleva un peso o si sposta un oggetto pesante, accanto alla attivazione massimale delle leve, si si accorge di una contrattura associata del costrittore faringeo e dei muscoli posturali del collo o, ancora, della muscolatura sovraiodea. Questo scoraggia dal fonare in condizioni di sforzo fisico.
Stabilizzare in modo serrato è quindi una operazione che coinvolge altri distretti. Fare di due elementi scheletrici un solo elemento, o almeno rendere la mobilità tra i due la minima possibile, permette la massima resa nella applicazione delle forze ma è ad alto costo muscolare.
Destabilizzare è l’esatto contrario. Questa azione permette la mobilità reciproca di due segmenti corporei, riducendo la possibilità di applicare forza utilizzandone uno come fulcro (ha quindi effetto di riduzione della efficienza muscolare) ma ne permette la gestione dinamica separata (incrementando l’economia di funzionamento).
Destabilizzazione mandibolare
Il termine destabilizzazione sta ad indicare la conseguenza della diminuzione di tono delle leve mandibolari nel loro insieme (con minima mantenuta attivazione del m. Pterigoideo esterno, con funzione di apertura orale) che rende possibile una maggiore mobilità della mandibola rispetto al resto del cranio così che muscoli a punto di inserzione inferiore possano attrarla verso il basso.
Essa può essere ottenuta senza richiedere l’impegno attivo del soggetto, applicando un bite, come accade nelle situazioni di bruxismo, quando, soprattutto nel sonno, i pazienti serrano con violenza i denti, rovinandone le corone. Più frequentemente è ricercata con un percorso attivo, per favorire l’apertura orale e permettere, in riabilitazione logopedica, di recuperare la normale mobilità laringea.
Nel primo caso l’applicazione di una superficie di scivolamento sulle arcate dentarie rende impossibile l’ingranarsi di esse, prerequisito per l’azione delle leve (il soggetto si trova in una situazione simile alla edentulia). Nel secondo tecniche di autopercezione, manipolazioni passive, esercizi miofunzionali attivano capacità di autoregolazione del tono.
Effetti di gradi diversi di stabilizzazione
In voce professionale, artistica e no, decidere quanto stabilizzare la mandibola al basicranio dipende dalla finalità che ci proponiamo.
Diversi gradi di stabilizzazione hanno per prima cosa effetti diversi sulla intelligibilità di ciò che diciamo. Dobbiamo infatti ricordare che la attivazione eccessiva delle leve riduce l’apertura della bocca, mentre la loro disattivazione apre eccessivamente, così da far pesare la lingua sul pavimento orale e da aumentare la distanza tra i punti di articolazione dei fonemi (i luoghi cioè dove la lingua “deve arrivare” per produrre un determinato suono all’interno delle parole). Per comprenderci basta provare a pronunciare la parola /stanza/ a diversa apertura della bocca per sperimentare come essa non sia più producibile con chiarezza a bocca troppo chiusa per la conglutinazione dei fonemi e diventi irrealizzabile a bocca molto aperta semplicemente per irraggiungibilità dei punti di articolazione.
La cavità orale è inoltre una delle parti del vocal tract, essa ha quindi funzione di amplificatore e per questo è parte attiva nella realizzazione del bilancio risonanziale. Inoltre essa è l’ultima sezione di esso e un suo atteggiamento può andare a vanificare o al contrario a potenziare tutto ciò che ha prodotto il tratto precedente.
Una ridotta apertura ne riduce il diametro con effetto principalmente ottundente, decapitando i picchi formantici dello spettro, andando a togliere brillantezza alla voce e genericamente scurendola. Una eccessiva apertura fa migrare le formanti verso gli acuti con effetto schiarente e, nel caso sia accompagnata da postura bassa linguale forzata, attribuisce una qualità stomatolalica aperta.
La protrusione
Per protrusione mandibolare si intende un movimento di avanzamento della mandibola, ottenuto con una bilanciata riduzione della capacità stabilizzatrice delle leve nel loro insieme, nel mantenimento dell’attivazione di alcuni fasci di esse (appartenenti ai m. Pterigoidei), che produce uno slittamento anteriore del mento. Poiché la laringe è appesa con i muscoli milo e genioioideo al segmento osseo dislocato, a questo conseguono un avanzamento minimo e una altrettanto minima inclinazione verso l’alto del piano glottico. Se il movimento è attuato in assenza di contrazione associata del pavimento della bocca, non viene alterato il tono delle pareti vocal tract.
Il risultato sul tubo aggiunto è un aumento di lunghezza totale, per aumento elettivo del diametro longitudinale della camera orale, al quale consegue uno scurimento del timbro per migrazione armonica verso i gravi ed amplificazione elettiva dell’intensità delle armoniche inferiori. Dal punto di vista laringeo la minima inclinazione del piano glottico verso l’alto stabilizza l’adduzione, rendendo più regolare il ciclo vibratorio.
In alcuni soggetti questo movimento di protrusione mandibolare è accompagnato da una protrusione sempre in senso sagittale, di tutto il capo. Questo ha effetti negativi sul bilancio delle risonanze per appiattimento dello spazio faringeo retrorale e riduzione volumetrica della cavità, oltre che per l’ulteriore alterazione di postura glottica che esso comporta.
Per altro la protrusione se non è accompagnata da destabilizzazione adeguata della mandibola, porta un allungamento del vocal tract orale associato a una riduzione del suo calibro, con i noti effetti di intubazione che a ciò consegue.
Per il medico la destabilizzazione mandibolare è una entità ben chiara e si riferisce alla riduzione di attivazione delle leve, principalmente massetere, temporale e fasci ad inserzione superiore, il cui esito fisiologico è la maggiore apertura orale e la possibilità (per eventi bilanciati) di maggiore mobilità del condilo nella cavità articolare. La destabilizzazione è prerequisito della protrusione ma non si accompagna obbligatoriamente ad essa.
Per l’osservatore i due eventi, protrusione e destabilizzazione possono non essere ben distinguibili e una mandibola che, soltanto destabilizzata per aumentare gli spazi endorali, si porta un poco in avanti a causa dei movimenti articolatori della lingua può apparire in protrusione.