Sono cresciuta in una famiglia che credeva di fare il meglio per i propri figli spronandoli a superarsi. I miei successi non erano che espressioni del mio dovere, i miei fallimenti erano le prove della mia incapacità.
Se non ci fosse stata la scuola, con la sua aritmetica di voti buoni e cattivi, con la barriera che separava la sufficienza dalla insufficienza, se non ci fossero stati i 6–, poi i 6, infine i 7 e gli 8, non avrei capito che non esistono il bravo e l’inetto ma diversi gradi di competenza disposti in una progressione percorribile.
Quando non è mai abbastanza
La famiglia mi ha tolto ogni fiducia nelle mie capacità. Non ricordo di essere stata lodata se non per ciò che testimoniava l’eccellenza. Ogni progresso nella difficile salita verso la sufficienza era visto come inadeguatezza, non rispondenza alle aspettative, non era mai abbastanza.
Dalla mia esperienza di bambina degli anni 50, così segnati dalla fiducia postbellica e dalle ambizioni di miglioramento economico e sociale, vorrei che traessero vantaggio i mie pazienti.
Lavorare sulle competenze
Quando si invia un piccolo a una valutazione cognitiva non lo si fa per valutare il divario esistente tra i”cosiddetti” normodotati e lui, non si misura in deviazioni dalla media ciò che non sa ma si va a cercare ciò che è in grado di fare.
Si analizzano le competenze per cogliere i punti forti e su quelli centrare la terapia.
La logopedia, anche quando prende in carico funzioni molto compromesse, non parte da ciò che è più lontano dall’atteso ma da ciò che più si avvicina alla prestazione voluta. Su quella capacità si lavora, su quella si insiste per ottenere risultati che siano premio del lavoro fatto e sprone a continuarlo.
Premiare anche i minimi successi
Dite “bravo” al vostro bambino quando fa qualcosa di corretto, sorvolate sulle mancanze per concentravi sui piccoli progressi. Notateli e fateli notare a lui. Incoraggiatelo. Premiatelo. Si ricorderò di questo, non dei fallimenti. Costruirà su questo la propria futura competenza.
L’educazione non si fonda su un sistema di punizioni ma su una politica di ricompensa. Noi facciamo, agiamo e produciamo se il nostro fare ottiene un risultato. Se incorriamo in continui errori, se sempre ci viene detto “non ancora”, non abbastanza, ci scoraggiamo e cessiamo di lavorare.
L’indifferenza nella relazione causa allontanamento ma il rimprovero, la critica producono sfiducia in se stessi e nel proprio futuro.
Frasi come “guarda lui, vedi come è bravo” sono inutili umiliazioni; “ripeti bene” detto a chi meglio di così non sa produrre è un incentivo idiota.
Non serve a nulla dimostrare al bambino “come si fa, come si deve fare” al solo scopo di umiliarlo nella sua incompetenza.
I bambini non sono diversi dall’adulto nella capacità di provare sofferenza. Sentirsi ripetere “se non fai così, non ti voglio più bene” è agghiacciante, qualsiasi l’età alla quale ciò ci viene detto.
Sento continuamente nelle strade, nello studio, nei negozi frasi umilianti rivolte a piccoli incompetenti, mischiate a generici “tesoro”, “amore” che vengo sbriciolati come neve finta sul paesaggio natalizio.