La falsa strada che stiamo percorrendo nell’occuparci della nostra salute è dovuta alla definizione che di essa viene data dall’OMS: ” uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale”. Si tratta di un’utopia della quale non ci accorgiamo perché essa definisce una nostro sogno: si crede facilmente a ciò che si desidera.
Basterebbe un minimo di introspezione per accorgersi che secondo questa definizione la salute non esiste. Nessuno di noi può dirsi fisicamente e mentalmente in uno stato di benessere totale.
A prescindere da cosa intendiamo per benessere, l’aggettivazione “totale”, mette questo stato nella categoria dell’irraggiungibile che mi ricorda il sogno americano, quello che ha spinto i padri fondatori a dichiarare nella costituzione il diritto alla felicità, come se questa fosse diritto e non conquista laboriosa della mente.
Non sono sana
Se penso a me stessa non posso certo applicarmi la categoria di sano. Ho avuto la mia prima crisi anginosa a 40 anni, da allora fatico a salire le scale, correre, reggere pesi. Sono portatrice di una eredità per l’artrosi dell’anca e ho una serie di piccoli disturbi che non so neppure catalogare. In quanto alla mia salute mentale, ci sarebbe da parlarne a lungo. Ho un carattere ombroso, sono solitaria e, come diceva mia nonna, “malmostosa”. Sento, da quando sono una ragazzina, dentro di me una grande inquietudine che mi spinge a fare, studiare, ricercare senza mai accontentarmi, che non è certo segno di perfetta salute della mente.
Eppure su quella inquietudine ho plasmato il mio carattere, ad essa devo la spinta a produrre che caratterizza il mio lavoro, il desiderio di dire, fare, conoscere che mi rende chi sono. Io sono queste fragilità, senza di esse non sarei io.
Cosa è quindi la salute? Posso parlare per me, perché io mi sento sana. La salute è uno stato del corpo e della mente che mi permette di avere relazioni sociali e famigliari soddisfacenti, di fare il mio lavoro e di trarre dalle situazioni della vita la massima soddisfazione possibile. E’ relativismo allo stato puro
Ora vengo a una seconda riflessione.
La logica del diritto
La definizione dell’OMS e ciò che ne consegue: la spinta a volere sempre stare “meglio”, con le aberrazioni del caso: il rifiuto della decadenza fisica, della morte stessa, la ricerca spasmodica del prolungamento della vita genera un secondo atteggiamento utopico: la richiesta imperiosa che questi desideri siano soddisfatti dalla medicina, anche indipendentemente dal nostro apporto fattivo al progetto.
La medicina diviene così una applicazione del sapere che non può sbagliare, che non deve concepire margini di rischio, che deve soddisfare completamente.
Da qui la non accettazione degli effetti aversi, anche se presenti nella popolazione in percentuali irrisorie, la demonizzazione dei farmaci, la nascita di correnti di pensiero che, nella sfiducia verso la medicina, si rivolgono alla natura, intesa come madre allattante, in tutto pronta a soddisfare i bisogni.
Quella natura che, se abbandono la mia casa, la invade, ne solleva i pavimenti, la ricopre di erbacce. Quella natura che produce veleni e farmaci ma che, a differenza della medicina, fatta dagli uomini, non viene ritenuta capace di portare il male.
la deresponsabilizzazione
Questi pensieri, queste utopie nate in seno alla filosofia della medicina e trasmigrate nell’opinione pubblica, portano a una deresponsabilizzazione dell’individuo, alla richiesta imperiosa di una salute che non è frutto dell’impegno personale ma data per diritto dall’esterno.
La pandemia? La soluzione è il vaccino (che viene dato dall’istituzione) ma non le buone pratiche di prevenzione, le barriere respiratorie, il distanziamento che invece sono coercizioni del sistema. L’effetto avverso? E’ la prova della pericolosità del farmaco, non la conseguenza dell’inevitabile rischio che ci assumiamo ogni volta che prendiamo anche solo un’aspirina.
L’utopia medica, la deresponsabilizzazione personale, la delega all’istituzione della nostra salute, la rimostranza sistematica verso ogni incidente, inconveniente, sorpresa, che sono la naturale conseguenza dell’operare in condizioni umane (cioè di probabilità e non di certezza), temo ci facciano restare in una condizione di debolezza che diventerà sempre più costitutiva, promuovendo la delega e seminando lo scontento.